Maroni Presidente

lunedì 23 aprile 2012

Generazione '68 - Tra tecnologia e Politica-


Il primo approccio alla tecnologia è sempre una storia personale.
Mettiamo da parte i neonati che guardano gli Iphone con la stessa voracità del seno della madre e gli adolescenti per i quali il computer è un elettrodomestico al pari della lavatrice.
Io ad esempio, ho avuto un approccio con questo mondo, aggressivo;
Televisione e cartoni animati dalla mattina alla sera (sono ancora innamorato dei cartoni animati:Dragon Ball, Ken Shiro, Naruto, e altri manga, anche se ho quasi 21 anni) e a scuola sapevo sempre di cosa parlare con i bambini e sapevo sempre quale era l'ultima "mossa" da combattimento da fare e quale potere speciale ne batteva un altro, sapevo anche trasformarmi in SUPER SAYAN!!!!.
A seguire: il primo videoregistratore (Super Nintendo), il primo lettore cd (era blu),non ho mai usato Napster, interi pomeriggi su internet dal giorno aver ricevuto la Cresima, quando ricevetti il mio primo computer.
Ecco perché parlo di modo aggressivo.
Fin qui, aldilà della mia vicenda personale, la mia, è la generazione che ha dovuto imparare, la generazione obbligata ad essere moderna, nulla di nuovo insomma.
Eppure chi è che oggi decide del rapporto tra le città e la tecnologia o della informatizzazione della pubblica amministrazione?
Una generazione che con la rete, ha lo stesso rapporto che Federica Pellegrini ha col "free climbing".
Direte voi, non importa, si può sempre imparare.
Ma la mia domanda è, questa generazione ha voglia di imparare?
Taglio corto, no, non ne ha alcuna voglia.
Non mi riferisco agli addetti del settore o chi con mente aperta si è concesso alla tecnologia, parlo invece della massa indistinta dei nostalgici del sessantotto.
Quelli del tabù del "il libro è solo di carta", "noi credevamo davvero di cambiare il mondo", "il computer non è roba mia, già ho un indirizzo di posta (d'altra parte c'è anche il tabù anglofono, email)" .
Non mi aspetterei alcuno sforzo di apertura mentale da questa generazione, se non fosse che è la stessa a riscaldare le poltrone del potere ed è la stessa ad avere in mano le armi del nostro progresso. 
Che questo essere restii alla tecnologia, nasca anche dalla paura di ammettere che "la rivoluzione" non è proprietà solo dei sessantottini e può invece esistere in altre forme? Non è la paura di ammettere che la cultura si possa esprimere oggi, con mezzi differenti dai salotti "buoni"?
In fondo, se ci pensiamo, la vera rivoluzione degli ultimi trent'anni è quella nelle telecomunicazioni, in quanto a politica i fatti parlano da soli.
La verità è che chi all'epoca ha cambiato le cose, e non riconoscerlo sarebbe ugualmente sbagliato, si sente depositario di una cultura e di una pienezza di valori che mai ha pensato di mettere in discussione.
E quindi se la tecnologia è "giochino, passatempo, sfizio", per gli over 50 resterà tale.
Questo spiega il perchè l'Ipad abbia fatto tanto furore in quella fascia d'età lì, un giocattolone che viene incontro ai problemi di presbiopia.
Non siamo tutti uguali, ed è per questo motivo che invece di criticare apprezzo i 50-60 enni che fanno buon uso dei social network, perchè si tratta di gente che ha quantomeno, voglia di conoscere senza tabù, senza paure di risultare ridicola.
L'evoluzione delle telecomunicazioni non è un fatto generazionale è una trasformazione sociale che riguarda tutti, perchè non riguarda "i giochini", ma riguarda la nostra burocrazia, i nuovi modi di tessere rapporti interpersonali e nuove possibilità di aiuto anche per chi ha delle disabilità.
Chi ci governa scrive solo su carta, al computer forse, ma spesso  sotto dettatura.
Si iscrive a twitter credendo di farne un uso pubblicitario se non peggio, comprando dei falsi consensi.
Quando parliamo di rinnovamento politico è ora di farlo tenendo conto anche di questo fondamentale aspetto
La bravura di un politico prescinde dalla questione anagrafica, che porta ad una "caccia alle streghe" qualunquista, se una persona è capace, l'esperienza è solo un valore aggiunto. 
Il fatto è che la capacità di un politico oggi deve essere anche il suo rinnovamento mentale, la capacità di discernere tra cosa conservare del passato e cosa mettere in discussione, abbandonando la pratica dell'arrocco ai valori del sessantotto. E questo anche culturalmente.
Persone, che siano capaci di considerare la tecnologia come parte dell'istruzione, della pubblica amministrazione, che non guardino alla tecnologia come ad una montagna di sapere ostico che non avrà mai lo stesso valore dei bei tempi andati.
Persone che vogliano capire i fenomeni, facendosi magari affiancare da altre più giovani di loro.
Perché, parliamoci chiaro, per quel che ne so io, ormai del 68 ci rimangono solo le kefiah anacronistiche degli studenti nelle occupazioni, mentre i nostri nonni si fanno regalare la televisione "col digitale" per tenersi al passo coi tempi.
Mi domando a questo punto chi siano i veri rivoluzionari.

sabato 21 aprile 2012

Moneta e Signoraggio

Prima di parlare del signoraggio, del quale sono state scritte le cose più fantasiose, vorrei fare una breve storia della moneta.
Fin dall'antichità si passò dal baratto alla moneta, che era una merce, accettata da tutti, che aveva un valore intrinseco, quale oro, argento, rame, fissando così un prezzo a ciascuna merce in base alla moneta. 
Nel medioevo si portava l'oro o l'argento al signore che aveva il potere di battere moneta, perché le coniasse e il compenso che gli era dovuto, per questo il lavoro si chiamava signoraggio. Questo signoraggio non è da confondere con il più noto signoraggio dei giorni nostri.
Coloro che si recavano in un altro stato, avevano bisogno di cambiare la loro moneta con quella locale dai cambiavalute detti anche banchi. 
Le persone facoltose, commercianti ecc, per paura di furti, cominciarono a depositare monete ed oro presso i banchi, ricevendo in cambio delle ricevute attestanti il deposito. Il passo fu breve, da parte dei commercianti e mercanti, di utilizzare questi certificati, per pagare le merci, servizi ecc. In questo modo, erano le carte attestanti il deposito che circolavano da un mercante all'altro con il relativo passaggio di proprietà delle monete, senza che ci fosse in realtà nessun spostamento dell'oro.  
Ben presto si accorsero che gran parte delle monete di oro rimanevano in deposito  senza che nessuno venisse a chiederne la restituzione e così venne l'idea di prestare una parte cospicua del capitale, lasciando una piccola riserva per eventuali richieste di prelevamento delle monete od oro. Sorsero così le banche moderne. I prestiti  concessi erano rappresentati da certificati che attestavano che all'affidato era stato concesso un credito di un certo ammontare e che il controvalore in oro o monete  era depositato presso il banchiere.  
Con l'affermarsi degli stati nazione verso il '700, il sistema costituito da monete metalliche (anche se poteva contare sui certificati di deposito sopra citati) non era in grado di assicurare un adeguato controllo monetario e un veloce scambio di beni e servizi. Facendo un ulteriore passo avanti, si emise carta moneta convertibile richiesta in oro e quindi garantita dall'oro depositato negli enti di emissione. Questi enti erano chiamati banche di emissione che fornivano questo servizio per conto dello Stato. Questa circolazione garantita dall'oro era stato un sistema valido fino alla metà del 1800. A partire dal 1900 non era più idoneo ad assicurare un adeguato supporto alle moderne economie in quanto la quantità di moneta che si poteva emettere dipendeva dalla quantità di oro che la banca di emissione deteneva. 
Nel 1944,  con l'accordo di Bretton Woods, si  svincolò la moneta dall'oro, vale a dire che gli Stati, attraverso le banche centrali, potevano emettere una massa monetaria pari alla loro potenza economico finanziaria. Più una nazione era ricca, dinamica negli scambi, potente economicamente, più moneta poteva emettere e il controvalore era costituito da una specie di rendita che poteva essere utilizzata per costruire infrastrutture, dare sussidi, ecc,  ossia avere una possibilità di spesa aggiuntiva oltre a quella che veniva finanziata dalle tasse e dal debito pubblico verso terzi. Questa rendita che gli Stati hanno si chiama signoraggio.
Sul signoraggio si sono scritte cose fantasiose, come il dire che sarebbe la banca centrale ad avere tale rendita, e precisamente che il guadagno della banca di emissione sarebbe uguale alla differenza tra il valore formale della moneta emessa e il costo dello stampaggio della carta moneta. Se valesse questa teoria io direi che il guadagno sarebbe maggiore, perché gran parte della moneta emessa è elettronica, ossia un accredito via internet. 
Questo equivoco nasce dal fatto che quasi tutte le banche centrali sono private ed il loro modo di emettere moneta può creare confusione.  Qui di seguito cercherò di spiegar come avviene l'espansione monetaria. Il tesoro emette certificati di credito che le banche ordinarie acquistano, il tesoro incassa dalle banche ordinarie il controvalore dei titoli, la banca centrale emetterà una quantità di moneta pari ai titoli emessi dallo Stato costituendo una contropartita attiva di cassa di pari importo. Con questa contropartita attiva di cassa accrediterà le banche ordinarie per acquistare i buoni del tesoro. Nel conto patrimoniale della banca centrale alla fine si avrà tra il suo attivo l'importo dei titoli acquistati e nel passivo la quantità di moneta emessa. Alla scadenza i titoli saranno rivenduti al tesoro il quale accrediterà la somma alla banca centrale e tale attivo di cassa andrà a compensare il passivo dell'emissione monetaria, comportando una riduzione della massa monetaria. Tuttavia, per mantenere inalterata la massa monetaria, come sempre accade, il tesoro emetterà una nuova trance di titoli. E' proprio questo giro vizioso che farebbe confondere le idee sul signoraggio e precisamente perché alla scadenza dei titoli, la banca di emissione riceve dal tesoro il controvalore dei titoli. Ma se analizziamo il bilancio vediamo che nulla va alla banca centrale, tranne l'interesse sui titoli, destinato a pagare i costi per la gestione della massa monetaria, l'attività di controllo sul credito ecc. Se c'è qualcosa da discutere sono proprio gli elevati costi della gestione e precisamente la parte che riguarda il costo del personale, super pagato e con privilegi inaccettabili.
Questo mio accanimento nel descrivere le procedure contabili è stato dettato dal fatto di voler far capire che questo signoraggio non va alla banca centrale come sembrerebbe se non si analizzano attentamente i passaggi contabili. 
Detto questo molti si chiederanno che differenza fa per lo Stato emettere titoli per finanziarsi senza o con l'intervento della banca di emissione se alla fine deve comunque rimborsarli? La differenza c'è perché con l'intervento della banca centrale lo Stato addebita a sé stesso il debito quando aumenta la massa monetaria ed è semplicemente un fatto formale se c'è il riaccredito alla banca perché sono stati emessi dei titoli con scadenza che saranno rinnovati automaticamente. Invece senza interventi della banca di emissione i titoli di debito pubblico sono dei veri debiti che il tesoro ha verso i cittadini, banche ordinarie e che alla scadenza dei titoli deve rimborsare realmente. Per mettere fine a questa inutile polemica, trasformerei i titoli acquistati dalla banca centrale in titoli non rimborsabili, invece di fare dei falsi riaccrediti e delle false emissioni monetarie.
Se l'enorme massa del debito pubblico italiano fosse detenuto dalla BCE, non ci sarebbe nessun problema per la sostenibilità del debito e il rischio di default. Ma questo non è possibile perché una tale massa di debito avrebbe dovuto essere controbilanciata con un analogo aumento della massa monetaria con conseguenze  svalutazione dell'euro, sull'inflazione, ecc. In questo articolo non toccherò questo problema, perché è complesso e delicatissimo. Sta proprio qui la disputa tra gli Stati in difficoltà e la Germania.
Comunque io sarei dell'avviso, confortato dal parere dei più grandi premio Nobel  dell'economia, di coprire una parte del debito pubblico con emissione monetaria fino al punto di portare l'euro a parità con il dollaro (in effetti i fondatori dell'euro prevedevano una sostanziale parità tra le due monete, ma questo non è avvenuto per l'ostilità della Germania) mettendo fine alla speculazione finanziaria e non sottoponendo gli stati deboli a sacrifici che comporteranno solo l'aggravarsi  della crisi e il possibile default. Comunque, queste misure di riduzione del debito pubblico, dovrebbero essere seguite da graduali riduzioni della spesa pubblica, una miglior efficienza della macchina statale unitamente ad un aumento della produttività del sistema paese. 
Il Giappone, gli Stati Uniti, hanno deficit pubblici maggiori dei Paesi europei, eppure non c'è nessuna speculazione sui loro titoli di Stato, perché nessun speculatore vincerebbe contro il fuoco di sbarramento delle loro banche centrali. I grandi enti finanziari per quante risorse abbiano, non potrebbero competere con le banche centrali. 
Comunque se non cambierà la politica economica della BCE andremo senz'altro alla fine dell'euro, perché i sacrifici imposti ai cittadini in termini di tasse, oltre che portare a riduzioni del welfare, comporteranno disoccupazione, cali continui del pil. In definitiva un aumento del rapporto debito pil. Comunque è pazzia allo stato puro avere una fortissima recessione nell'euro zona ed avere un euro superiore al dollaro di circa il 40%.
A Bretton Woods nel 1944, oltre che sancire la fine della convertibilità delle monete in oro, venne stabilito che il dollaro sarebbe diventata la moneta di riserva per i pagamenti internazionali e di conseguenza sarebbe stata l'unica valuta convertibile in oro. Questo fatto, tuttavia non obbligava gli Stati ad adoperare necessariamente la moneta americana per regolare le transazioni internazionali. Il colpo grosso lo fecero gli Stati Uniti quando riuscirono ad imporre agli Arabi ed ad altri produttori di petrolio di servizi solo del dollaro per regolare i pagamenti del greggio. Da questo momento gli Stati Uniti diventarono una superpotenza globale, perché per far fronte alle enormi richiesta di dollari necessari a regolarizzare i pagamenti del greggio la Federale Reserve doveva aumentare di pari importo la moneta in circolazione, dando così la possibilità a questa nazione di indebitarsi a spese degli altri stati (super potere di signoraggio del dollaro).
In poche parole gli Stati Uniti potevano finanziare opere pubbliche, armamenti, ricerca grazie al controvalore dell'emissione dei petrodollari. 
Nel 1971 poi si sancì che anche il dollaro non sarebbe più stato convertibile in oro, poiché la quantità di moneta che questa nazione aveva emesso, senza aumentare le riserve auree, aveva reso il dollaro quasi privo del controvalore in oro. 
Non tutti sanno che l'Iraq è stato invaso la seconda volta con la caduta del regime, perché il dittatore Saddam Hussein aveva tentato di farsi pagare il petrolio in euro e non in dollari. Se la cosa poi si fosse allargata al resto dei Paesi produttori, la potenza degli Stati Uniti sarebbe stata ridimensionata.
Da quanto detto si capisce che la capacità di uno Stato di emettere moneta e gestirla  è fondamentale da cui possono dipendere i destini di un popolo.

lunedì 16 aprile 2012

Missiva al Presidente della Repubblica per Abolire il Rimborso Elettorale ai Partiti



Col Referendum del 1993 oltre il 90% degli italiani si dichiarò favorevole all’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti. Qualche mese dopo, i partiti, riuscirono a scavalcare la richiesta modificando furbescamente il nome della legge: da finanziamento a “rimborso elettorale”.
Fù così che riuscirono comunque per quasi 20anni, nonostante il referendum, a ricevere enormi quantità di denaro “nostro”. Dalla cronaca odierna risulta evidente, se qualcuno ne avesse avuto bisogno, che in tanti casi questi soldi pubblici servivano solo per gonfiare le tasche “private”.
E’ giunto il momento di chiedere fermamente che la volontà popolare espressa chiaramente nel ‘93 venga rispettata! Ricordiamoci che l’esito referendario è, secondo la Costituzione Italiana, VINCOLANTE per il legislatore!!!
Per questo diamo vita alla CAMPAGNA per l’ABOLIZIONE DI OGNI FORMA DI FINANZIAMENTO AI PARTITI in base all’esito del referendumQui di seguito ti diamo tutte le info e le istruzioni per inviare la tua petizione al Presidente della Repubblica. Se siamo in tanti, tantissimi, a farlo il risultato potrà esserci!!!
Come procedere:
1) clicca sul seguete link < https://servizi.quirinale.it/webmail/ > che ti collega all’apposita pagina del Qurinale per l’invio di comunicazioni al Presidente;
2) compila tutti i campi obbligatori;
3) inserisci il seguente TESTO (oppure una tua comunicazione personale):
Ill.mo Signor Presidente della Repubblica,
mi rivolgo a Lei, per il Suo ruolo di massimo garante delle istituzioni e della Costituzione di questo Paese, affinché possa esercitare, ove lo riterrà opportuno, una moral suasion nei confronti dei rappresentanti politici per far rispettare quanto chiaramente espresso dai cittadini nel Referendum del 1993 a riguardo del Finanziamento pubblico ai partiti.
In quella consultazione referendaria, come  ben ricorderà, oltre il 90% dei votanti si espresse per l’abrogazione della relativa legge. Come, ancor più precisamente, Le sarà chiaro l’esito di un referendum è l’espressione della sovranità popolare sancita dall’art. 1 della Costituzione della Repubblica Italiana e, proprio per questo, vincola il legislatore al rispetto della volontà espressa dal popolo.
Per tale motivo, oggi, in relazione anche ai sempre più numerosi esempi dell’uso indiscriminato di questi fondi pubblici, rivolgo a Lei questo appello affinché le forze politiche si impegnino a mantener fede alla volontà popolare chiaramente espressa nel ‘93 per l’abrogazione di ogni forma di finanziamento (o in qualsiasi altro modo si possa chiamare) pubblico ai partiti.
Certo della Sua sensibilità a riguardo porgo i miei più distinti saluti.
4) Fai girare più che puoi questo messaggio. Condividilo con i tuoi amici e fai inviare più messaggi possibili al Presidente della Repubblica.

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sabato 14 aprile 2012

Partecipazione, Cultura e Comunicazione Per Socializzare il Potere


Vorrei fare alcune considerazioni sulla politica, sulla partecipazione ad essa e su un certo tipo di cultura.

Viviamo, infatti, in un' epoca di cambiamenti che attraversa il mondo globale.
Abbiamo sotto gli occhi: la crisi della politica e delle ideologie, il progressivo logoramento dei valori e della cultura, le contraddizioni e l’ ingiustizia crescenti, la violenza diffusa, l'affermarsi del razzismo, dell'omofobia, della xenofobia. 
Tutto ciò mi ha imposto una riflessione sulla prassi politica e sulla necessità di una sua rifondazione culturale ed etica. 
Questo mi ha portato, quindi, ad una serie di letture la cui sintesi può essere riportata dalle seguenti considerazioni.

Innanzitutto chiediamoci: Cosa è lo Stato?

Lo Stato è costituito da un popolo che vive su un territorio e che si dà un’organizzazione ed è proprio dal modo in cui si organizza la società che si dà forma alla politica.
Infatti, essa può affermarsi o come dittatura o come oligarchia, organizzate per dominare sul popolo, o come democrazia comunitaria e partecipativa.
Il tipo di modello politico che prevale in una società, a sua volta, dipende da una serie di fattori, quali la sua struttura economica, i principi etici e/o religiosi dominanti, la sua cultura, e, soprattutto, il suo stato di consapevolezza e di partecipazione.
Nella cultura greca, lo Stato si identificava con la società; in quella moderna, invece, vi è una netta distinzione tra i due.
L’odierno sistema politico, che caratterizza tutte le democrazie occidentali, è basato sulla democrazia parlamentare o rappresentativa, cioè su un sistema politico, nato ed affermatosi con la rivoluzione francese, fondato sulle elezioni.
Purtroppo, oggi, specialmente in Italia, questo sistema è degenerato e ha determinato una prassi politica verticistica, di netta separazione degli eletti dai bisogni degli elettori.
Oggi, infatti, come constatiamo, la politica è caratterizzata dal distacco esistente tra governanti e governati.
Si è formato, così, il “Potere d' élite”, per la maggior parte, permeata da un liberismo spregiudicato che ci ha resi schiavi delle banche e della finanza speculativa e che ha disattivato ogni tipo di controllo o di giudizio morale e politico degli elettori, per cui il “Potere” è diventato autoreferenziale e si è attribuito scandalosi privilegi. 
Il nostro sistema politico, quindi, oggi, vive su una finzione di sovranità popolare, sulla tripartizione dei poteri, ed è sbilanciato più sulla libertà che sull’uguaglianza.
Questo perché tale sistema, di fatto, è stato caratterizzato dalla circolazione di élites politiche che hanno visto nello Stato solo la possibilità di “RUBARE IL BENE COMUNE E DI VIVERE ALLE NOSTRE SPALLE”.
Questa concezione verticistica, fondata su POLITICI DI PROFESSIONE, su OLIGARCHIE PARTITICHE e SINDACALI, nettamente separate dai cittadini e dai loro bisogni, ha trasformato la politica in una pratica di potere e privilegi e ridotto, così, i cittadini, a "clienti".
Per contrastare tutto ciò si può e si deve immaginare, invece, una pratica politica proveniente dal basso, dalla società civile nella sua interezza e coesione, che si contrapponga radicalmente alla prima.
Deve, cioè, affermarsi la “Comunità Politica” e la logica del “Buon Vicinato” alla anglosassone.
Infatti, la politica deve essere il diritto-dovere di partecipazione di tutti alla cosa pubblica, l’esercizio attivo e diffuso della cittadinanza, che comporti che ciascuno dedichi una parte del proprio tempo, sottraendolo al proprio lavoro e alla propria famiglia, alla soluzione dei problemi della comunità, attraverso forme di partecipazione attiva, di rotazione delle responsabilità, di controlli e di revoche. 
E’ questo il senso aristotelico dell’uomo “animale politico”, perché egli vive nella sua società e la sua attività, per trasformare la natura e la società , realizza la sua stessa natura umana.

Il problema reale della rinascita della politica èquindi, quello della:

Socializzazione del Potere.

La socializzazione del potere, però, oltre alla partecipazione, presuppone, anche, la diffusione di una cultura critica, cioè l'affermarsi di una democrazia cognitiva, come precondizione della costituzione di una “Comunità Politica”.
Solo così la politica può ritrovare tensione morale e progettualità.
La partecipazione dei cittadini deve mirare al cambiamento della politica, ma deve essere una partecipazione consapevole e perciò colta.
Con la parola “colta”, però, non si intende, “erudita”.

La cultura, in questo caso, piuttosto, è:

“L’insieme di abitudini, costumi, pratiche, saper fare, saperi, regole, norme, divieti, strategie, credenze, idee, valori, miti, che si perpetua e si modifica, di generazione in generazione e che si riproduce in ciascun individuo tramite l’educazione, aggiornandosi alle esigenze della società.

Ed è a partire da questa cultura collettiva, di base, che permea sempre la società, che ciascuno seleziona, interiorizza e sintetizza la propria personale visione della vita, le proprie concezioni del mondo e i propri stili comportamentali. E', di fatto, una cultura strettamente interconnessa ai valori morali, per una nuova dimensione della vita.
La cultura, la conoscenza, infatti, si acquisiscono, per primo, attraverso la famiglia! 
Purtroppo, oggi, quest'ultima deve fare i conti, nelle odierne società complesse, con la comunicazione di massa che, di solito, è sempre asservita al gruppo di élite.
Quest'ultimo, infatti, per conservare il proprio potere, tende, sempre più, ad attuare, nella società, un processo di massificazione e di costruzione dell’uomo-massa, tramite i media, per castrare le potenzialità creative del singolo.
Le nuove generazioni, infatti, oggi, sono acculturate dai mass-media, mentre la famiglia e la scuola sono espropriate sempre più.
Invece è importante la partecipazione delle famiglie, nella scuola, nella vita della città, dei quartieri.
La cultura di ogni persona singola si può dire realmente tale se diventa 
                                                                 "modo di vivere e di pensare".

La cultura è organizzazione del proprio "Io" interiore, della propria personalità; è conquista di una coscienza superiore, direi sociale,  attraverso la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e doveri.
E’ per questo che occorre fare sviluppare nelle nuove generazioni una cultura critica, che sia anche critica di qualsiasi ideologia al potere.
E' per questo che è importante costruire una cultura universalistica, solidaristica, fraterna, che abbraccia i problemi fondamentali di tutta l’umanità (diritto alla vita, al lavoro, all’amore ecc.) e una consapevolezza critica che, soprattutto, lo liberi dal “Consumismo”, altro ostacolo alla crescita di una coscienza sociale.
Infatti, oggi, il bisogno di possedere, di consumare, di adoperare, di rinnovare costantemente gli apparecchi, i ritrovati, gli strumenti e motori offerti e imposti alla gente è diventato, quasi, un bisogno biologico ossessivo.
Il consumismo è diventato quasi una seconda natura dell’uomo, che gli rende difficile ogni cambiamento e che lo rende schiavo delle indicazioni, degli ordini,  della pubblicità.
Il connubio politica-economia-ideologia, crea, infatti,  una politica della vita, che plasma, ad arte, i desideri, i bisogni stessi degli uomini e, perciò, ne controlla il corpo e la mente, rendendo schiava l'intera società, a vantaggio di pochi e soprattutto della élite.

Per questo nessun cambiamento può avvenire se non avverrà un mutamento della coscienza e dell’inconscio sociale. Il cambiamento può essere realizzato solo da persone interiormente libere, fuori dal circuito dell’individualismo-egoismo-consumismo.

Ciò può realizzarsi solo attraverso un lungo processo educativo.
E’ necessaria, quindi, una rinascita culturale nutritiva della pratica politica e dei suoi contenuti.
E' necessaria la costruzione di una società di liberi ed eguali, e, perciò, non condizionati.
La crisi attuale della politica, infatti, è, in primo luogo, crisi culturale e valoriale e richiede, per  l'affermazione  di una coscienza sociale, una politica della cultura:
  • per comprendere ciò che accade nella società e come migliorane le condizioni di vita.
  • che superi le contraddizioni tra la crescita continua della produzione, l’accumulo di ricchezza e beni per pochi e l’estrema povertà di miliardi di persone.
  • che superi la precaria condizione umana, l’insoddisfazione e l’infelicità.
  • che tenda a creare nuove proposte di convivenza e di relazioni umane, che privilegi il bene comune, cioè che miri all’uomo e ai suoi contesti (famiglia, scuola, quartiere, città, ambiente).
  • che non sia ideologica, come sistema di valori precostituiti, ma sia una cultura critica, che s’interroghi intorno al mondo in cui viviamo, sulla sua origine e sulla sua evoluzione,
  • che si ponga domande fondamentali e cerchi risposte sull’essere e sull’esserci, sulla vita e sulla morte, sull’organizzazione della società. L’essenza umana, infatti, non è solo l’essere, ma l’esserci con gli altri, l’essere sociale.
  • che sia autentica e che si faccia critica dell’ideologia e di tutti i fondamentalismi e dogmatismi.
  • che tenda ad una presa di coscienza capace d’interpretare la realtà e i bisogni della società.
  • che riorganizzi l’apparato statale, la nostra esistenza e tutta una serie di momenti culturali,
  • che sradichi vecchie abitudini e ne introduca di nuove.
  • che costruisca un’egemonia culturale fondata su valori di solidarietà, di uguaglianzae di giustizia.
  • che costruisca una nuova modalità di stare insieme con gli altri.
  • che prenda in mano il processo formativo delle nuove generazioni ma anche degli adulti.
  • Che porti ad un nuovo rapporto tra individuo e società, a una nuova soggettività come momento fondamentale e costitutivo della trasformazione dei processi sociali.

Le uniche che potranno realizzare questa cultura politica, credo, siano la Famiglia, la Scuola, ed una "buona" comunicazione mediatica, anche con l'uso intelligente dei social network. 


Esse possono e devono assurgere ad un ruolo centrale, come fattore di promozione culturale e sociale, come ambiente:
  • dove si possa formare il senso critico delle nuove generazioni,
  • dove si  possa  formare la capacità di scegliere consapevolmente,
  • dove si possa  formare il senso di rispetto e di ascolto degli altri;
  • dove si  possa  formare il senso della comunità, della solidarietà e del bene comune,
  • dove si possano porre le premesse per diventare buoni cittadini e buoni governanti, in modo da realizzare una vera democrazia politica, che superi la scissione tra governanti e governati. 

Perciò,



LA SOCIETÀ DEVE ACQUISIRE IL "POTERE"


attraverso il recupero e l'integrazione delle diverse culture del nostro popolo per poi usarne la ricchezza, attraverso la "partecipazione attiva", al fine di migliorare la nostra vita e la società stessa. E' necessario che, nella società, si affermi una sorta di  "Movimento per Unire", che sia contro tutte le divisioni sociali, gli egoismi, e il potere di élite. 

Solo allora potremo dire: " Siamo Uniti dall'Idea che..." e che "Rimarremo uniti anche se ci saranno delle idee su cui non potremo essere uniti e sulle quali, però, opereremo una mediazione sincera ".

Perchè NO alla politica economica di Monti




Le politiche neo liberiste furono sperimentate in Argentina con risultati catastrofici . 
Questo Paese sud americano ha risorse di ogni tipo: grandi allevamenti di bestiame, agricoltura fiorente, vaste risorse di petrolio e gas e un tenore di vita buono prima di essere colpito dalla crisi a partire dal 1998.
Tutto inizia nel 1991, quando si decise di instaurare un cambio fisso tra la loro moneta e il dollaro per attrarre più investimenti stranieri e poter avere prodotti americani ed europei ad un costo minore, rinunciando di fatto al signoraggio sulla moneta, che è uno dei capisaldi per l'indipendenza di uno Stato. Infatti agganciando la loro moneta locale al dollaro, gli investitori stranieri pretesero minori interessi perchè non correvano il rischio di avere perdite dovute alle fluttuazioni di cambio. Questi flussi di capitali a basso costo unitamente alla sopravvalutazione del peso, fecero accrescere l'economia ed aumentare gli acquisti di auto, televisioni, ecc. Tutto questo comportò un rallentamento delle esportazioni di cereali, di bestiame ecc, quindi un peggioramento della bilancia commerciale .
Questo disavanzo commerciale fu sanato temporaneamente con aumento del debito pubblico, visto che i capitali stranieri erano abbondanti e poco costosi. Nel 1998, questo disavanzo commerciale continuato, aveva depresso l'economia reale perché l'Argentina non riusciva più ad esportare all'estero. Subito ci fu una fuga di capitali ed i tassi di interesse cominciarono a salire. Il Governo continuò a rimanere legato al dollaro indebitandosi con il fondo mondiale e emettendo bond per i quali pagò interessi altissimi. Per far fronte ai maggiori oneri finanziari e alla caduta delle attività, il governo fece una feroce politica di austerità aumentando la pressione fiscale con grave aggravamento del tenore di vita dei cittadini. Il default fu un atto quasi obbligato. E' cosa nota che molti risparmiatori persero una parte dei loro risparmi investiti in titoli argentini. 
A titolo di cronaca, voglio ricordare che durante il periodo della crisi, decine di migliaia di Argentini di origine italiana, con età compresa tra i 60 e 65 anni, si trasferirono in Italia per poter avete la pensione sociale dal nostro governo per poi ritornarsene nel loro Paese con un reddito che gli permettesse di vivere.
Al default seguì la svalutazione del peso e dopo qualche anno, la situazione cominciò a migliorare. Con il peso più basso, furono possibili le esportazioni di carni, frumento, gas e l'economia reale cominciò a creare ricchezza vera e gli indici di crescita ora sono ora secondi solo alla Cina.  Questa esperienza ci fa capire che uno Stato non deve agganciarsi ad una moneta forte quando la sua economa è rivolta all'export e la valuta deve rispecchiare il suo potenziale economico, non quello di una super potenza.
Analogamente sta succedendo all'Europa nella quale fu introdotto l' euro. Per essere accettati bisognava avere certi parametri e l'Italia riuscì ad entrarci grazie alla riduzione del debito pubblico tramite l'incremento della tassazione. Sarebbe stata accettata lo stesso, poiché la Germania di allora, con tutti i problemi della sua riunificazione, non avrebbe lasciato il nostro Paese fuori dall' euro in quanto la concorrenza italiana sarebbe stata fatale per l'industria tedesca e questa mia affermazione è realistica e basata sullo sviluppo di modelli econometrici che alcuni centri economici avevano elaborato, come la Confindustria tedesca. Si diede luogo così ad un' area monetaria e economica pari a quella americana seppur le differenze erano grandi. Gli Stati Uniti erano uno stato federale e quindi c'era una certa compensazione economica tra gli Stati facenti parte della federazione, la banca centrale si faceva garante in ultima istanza del debito pubblico ed aveva la possibilità di intervenire nell'economia tramite manovre monetarie. Per di più il dollaro è la moneta utilizzata universalmente per i pagamenti internazionali e soprattutto per quanto riguarda il petrolio. Questo fatto dà a questa nazione la possibilità di utilizzare la sua valuta per autofinanziarsi tramite il signoraggio del dollaro. 
In un'altro articolo spiegherò il concetto di signoraggio che ha una nazione tramite la sua banca centrale ed il super signoraggio che hanno gli Stati Uniti d'America tramite il dollaro. 
Da non confondere invece con la favola che circola in certi ambienti  che il signoraggio andrebbe a favore delle banche centrali, che sono in gran parte società a capitale privato con finalità pubbliche.

 Gli Stati europei aderenti all'euro erano stati indipendenti che avevano delegato alla banca centrale europea di controllare l'inflazione, senza poter intervenire per difendere l'euro ecc. Questo disavanzo commerciale e perdita di competitività  non sarebbero successi se avessero potuto svalutare la moneta, ossia se avessero avuto una loro banca centrale che adeguava la valuta alle reali condizioni economico finanziarie dello Stato. E qui e' evidente l'analogia con l'Argentina. L'Argentina non aveva introdotto ufficialmente il dollaro , ma di fatto , fissando un rapporto fisso tra  il peso e la valuta americana, era come  se avessero il dollaro,  non avendone pero' tutti i vantaggi. L'Italia a mio avviso non era pronta ad entrare nell'unione monetaria in quanto contrapponeva  al nord una economia forte e competitiva  ed al sud una economia fatta di trasferimenti di risorse dal settentrione, da pubblica amministrazione, da aziende  che vivevano  nel sottobosco degli enti pubblici.  Qualcuno sperava che entrando in Europa si potesse dar impulso alle attività produttive del meridione, approfittando del basso costo del denaro . Questo non avvenne, anzi i trasferimenti per spesa corrente  aumentarono. Non era facile  incidere in una classe politica che trovava  e trova il suo consenso dando ai cittadini posti di lavoro in enti pubblici , appalti ecc.                                                                                       L'euro ebbe un valore calcolato sulla media delle monete dei paesi aderenti. Per cui la Germania si trovo' con una moneta meno forte del Marco e l'Italia con una moneta più forte della Lira. Questo all'inizio diede stabilità al sistema finanziario e possibilità di pagare interessi bassi sia nel pubblico che nel privato. Essendo questi Paesi differenti economicamente, la moneta unica favorì i paesi del nord Europa, in primis la Germania,  l'Olanda, mentre i paesi del sud, dopo un bell' inizio, cominciarono a perdere competitività, in quanto avendo una moneta troppo forte, aumentarono le importazioni di beni creando grandi disavanzi commerciali che si trasferirono in un aumento del debito pubblico e la crisi importata dall'america diede un colpo mortale alle loro economie (Grecia, Portogallo, Spagna , Italia , Irlanda).                           
Come sappiamo, Monti, si  instaurò al governo dopo la crisi dello spread, con il sostegno di Napolitano e con l'appoggio dei tre più grossi partiti. Appena arrivato tassò ferocemente gli Italiani, portando il nostro Paese  ad essere uno dei paesi più tartassati dal fisco. Non andò ad incidere sulla spesa, non ridusse i costi della politica, non ridusse i parlamentari, non  eliminò gli enti inutili, non toccò il patto di stabilità in modo da sbloccare i pagamenti della pubblica amministrazione e enti a favore delle aziende private che aspettano molte volte anche oltre un anno, costringendoli però a pagare l'IVA e tasse su incassi non avvenuti, non permettendo nemmeno la compensazione tra crediti e debiti, mettendo gli imprenditori  spesso nell'impossibilità di pagare il fisco, l' INPS ed essere poi depredati ingiustamente da Equitalia.                                                                      Il governo Monti ha tentato di fare delle ridicole liberalizzazioni, come quelle delle farmacie e dei tassisti (tra l'altro non andate del tutto a buon fine). Si è impuntato invece di modificare l'art. 18 permettendo nel settore privato i licenziamenti individuali per motivi economici con possibilità di reintegro mettendo però a carico del dipendente l'onere della prova. Questo in effetti renderà più difficili le riassunzioni, in quanto non è facile per la parte più debole dimostrare che c'è stata discriminazione in un ambiente di lavoro poco collaborativo, timoroso di poter essere licenziato, tutto proteso a mantenere l'impiego. I licenziamenti facili, semmai, dovevano essere applicati al settore pubblico, che è una delle cause principali del debito pubblico. Poteva per evidenti motivi economici  permettere di licenziare parte dei dipendenti della regione Sicilia, dei comuni di Palermo, di Napoli, i forestali della Calabria, ecc.               
Questo non l'ha fatto perché i politici del sud non avrebbero fatto passare  un provvedimento simile, in quanto questi lavoratori sono la base del loro consenso politico ed elettorale.                                                             
   Ma perché ostinarsi così tanto in questa riforma del lavoro, quando sappiamo che gli stranieri non investono in Italia per la troppa tassazione, per una burocrazia lenta e macchinosa, per una giustizia che fa aspettare anni ed anni una sentenza, per la corruzione dilagante, per il poter mafioso ecc.                                                                                           C'è una ragione ideologica senz' altro. E' da ricercare nel tentativo di abbattere gradualmente i diritti e tutele dei lavoratori in modo che siano più ricattabili, più propensi a lavorare a testa bassa.                       
In conclusione non condivido la politica del governo perchè ha solo tassato con grave danno delle classi medio basse riducendo consumi,  ridotto le tutele dei lavoratori e quindi alla lunga ciò comporterà una ulteriore riduzione dei salari. Non ha messo in moto riforme per la crescita, non si è dato da fare per convincere i suoi amici tedeschi di maggiori interventi per dare maggior liquidità per finanziare opere pubbliche ecc.                                                                               Comunque, se l' Europa non diventerà uno stato federale, con possibilità di trasferimenti economici tra le regioni più ricche alla più povere, i  paesi come Spagna, Italia, Portogallo ecc non riusciranno ad essere competitivi e quindi dovranno uscire dall'Euro in quanto questa moneta è troppo valutata. Voglio precisare che questi trasferimenti tra le varie aree  devono essere finalizzate allo sviluppo sotto il controllo dell'Europa e nello stesso tempo avere una classe politica più onesta che modernizzi   lo stato, lo renda più economico, che elimini privilegi per i politici, burocrati e per tutto il suo vasto sottobosco.                                                             La crisi in Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda sta facendo emigrare decine di migliaia di cittadini in Inghilterra, Germania, Olanda e anche in Paesi oltre oceano. Penso che anche gli Italiani saranno costretti ad emigrare, poiché sembra che non si voglia fare niente per modificare le cause del tracollo economico.

         Luciano Gatto